Che l´Italia sia uscita dal nucleare è paradossale, che voglia rimanerne fuori lo è altrettanto”

Siamo il Paese di Enrico Fermi, premio Nobel per gli studi sui reattori nucleari civili. Siamo il Paese di Galileo Galilei, padre della fisica moderna. E aggiungo, siamo il Paese di Ettore Majorana, dei ragazzi di via Panisperna, e di tanti altri ingegneri nucleari che ancora oggi tengono alto il nome dell’Italia, all’estero, negli Stati Uniti, al Cern di Ginevra.

La storia dell’atomo si è fatta in Italia, eppure, questi brillanti pensatori e scienziati qui non hanno avuto vita facile; le loro idee erano troppo complesse o troppo rivoluzionare per poter essere accettate e capite, oppure il periodo storico non era dei migliori. E’ partendo da quest’assunto che si sviluppa la riflessione di Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, che in un articolo scritto per il settimanale Formiche (Siamo pur sempre il paese di Fermi e Galilei – http://www.formiche.net/dettaglio.asp?id=26405&id_sezione=92) così afferma: “Che l´Italia sia uscita dal nucleare è paradossale, che voglia rimanerne fuori lo è altrettanto”. Ma l’Italia, si sa, continua ad andare avanti per paradossi al quadrato. L’incongruenza regnò sovrana già nel 1987, quando voci indignate da destra a sinistra si sollevarono per chiudere le centrali nucleari, cavalcando l’onda emotiva dell’incidente di Chernobyl. Il vero perché ancora oggi è difficile da cogliere, fatto sta che il Referendum fermò un’industria ben avviata e promettente (Caorso era a quei tempi la centrale nucleare più grande e all’avanguardia d’Europa). Vi è anche un’altra incongruenza, segnalata sempre nell’articolo di Tabarelli: molti prestigiosi nuclearisti, che nel 1987 sostennero strenuamente il nucleare, oggi sono “diventati tristi, disillusi e pessimisti”, sostenendo “l’inutilità e l’impossibilità di fare il nucleare da noi”. Il presidente di Nomisma Energia parla di “una diffusa malattia del criticare tutto ciò che ha elementi di complessità e che si presta pertanto a facili e superficiali critiche”, come ad esempio le rinnovabili e i loro incentivi, le linee elettriche con le loro radiazioni, il carbone con la sua CO2, il petrolio con i suoi prezzi, il gas con la Russia. Per quanto riguarda il nucleare, “i criticoni” hanno parecchie argomenti cui appigliarsi, vista la complessità stessa dell’argomento che lo rende ostico o quantomeno incomprensibile al grande pubblico, e la maggior parte si sviluppano tutti a vari livelli di superficialità, lavorando più sui sentimenti che sui fatti concreti. L’autore dell’articolo si concentra su un aspetto spesso tralasciato all’interno del dibattito del ritorno al nucleare: la globalizzazione dell’energia. E’ un dato di fatto che il sistema energetico ed economico internazionale sia sempre più interconnesso e il mantenere l’Italia isolata dal generale contesto internazionale, che vede tutte le principali economie industriali presenti sulla tecnologia dell’atomo, è indicativo della debolezza della nostra economia. “L´Italia è ancora un Paese che poggia sull´industria – dice Tabarelli – il cui Pil, seppur in calo, vale ancora il 25% del totale, mentre quello del tanto amato turismo non supera il 5%”. Chi sarebbero i beneficiari maggiori del ritorno al nucleare? Semplice. Le centinaia di imprese  italiane, quelle che esportano di più nel mondo e quelle che ora hanno bisogno di stabilità degli investimenti per continuare a rafforzarsi e a cogliere quote di mercato sul mercato mondiale. “Si tratta di una scelta di politica industriale, prima ancora che di politica energetica, su cui tutti dovrebbero convenire”.